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Credits: Refettorio Paris
Raccontaci qualcosa della tua esperienza al Refettorio Paris. Che aspettative avevi prima di partecipare al progetto e come ti sei sentito dopo?
Cerco sempre di non crearmi delle aspettative, è l’unico modo per godersi davvero un’esperienza. Normalmente quando mi creo delle aspettative, la probabilità che queste vengano poi deluse è alta, per questo motivo cerco sempre di non farlo. Ma la mia esperienza al Refettorio è stata…non saprei nemmeno da dove cominciare!
Sono arrivato a Parigi lunedì mattina, e ho camminato fino al Refettorio dalla Gare de l’Est, una delle stazioni principali della città. L’ultima volta che avevo visitato Parigi era otto o nove anni fa, quindi in un certo senso la conoscevo già, ma non l’avevo mai davvero vissuta nel modo in cui mi è capitato di viverla questa volta. La città era calda, umida e rumorosa, ma una volta entrato all’interno della Madeleine tutto improvvisamente è diventato tranquillo e ho provato l’esatto opposto rispetto a quello che provavo fuori. Mi sono detto “Wow, questo è un rifugio, è un luogo dove la gente viene a rifugiarsi e ritrova la serenità.” Non è poi così diverso dalla chiesa che sta al di sopra e la somiglianza mi ha realmente affascinato – il fatto che basti entrare per sentirsi immediatamente meglio – è questo che intendo quando lo definisco un rifugio. È stata questa la mia primissima impressione.
Com’è andato il tuo primo giorno?
Ho incontrato tutte le persone meravigliose che lavorano al Refettorio e abbiamo trascorso, tutti insieme, una giornata molto intensa. La prima sera c’era anche JR e insieme a lui i numerosi volontari che lavoravano in cucina, un vero e proprio caos. Ma era un caos positivo e controllato: tutti ballavano e si divertivano. I volontari che servivano ai tavoli passavano il loro tempo con le persone che erano venute lì a mangiare, una vera e propria relazione simbiotica tra persone diverse che si sono riunite per condividere, insieme, un momento di felicità.
Ero piuttosto silenzioso la prima sera, ma mi sono goduto tutto quello che avveniva intorno a me: trascorrere il mio tempo lì, parlare con le persone che mi circondavano, vivere questa esperienza nella sua totalità. Se devo essere sincero, non penso ci si possa fare un quadro completo del progetto se si fa volontariato una o due volte, perché ogni giorno è diverso dal precedente – servirebbe almeno una settimana.
Immaginiamo che sarai abituato a dirigere una cucina, com’è stato lavorare nei panni dello chef ospite? Che differenze hai notato tra la cucina del Refettorio e quella che potremmo definire una cucina “normale”?
Quando penso al ruolo di chef che ricopre Maxime mi rendo conto che solo uno come lui può farlo. Lavora a stretto contatto con persone che in cucina non hanno alcuna esperienza e per forza di cose bisogna essere molto pazienti, bisogna spiegare tutto – anche due o tre volte se necessario – e allo stesso tempo si deve rispettare la tabella di marcia della cucina, perché il servizio inizia alle 18.30 e per quell’ora deve essere tutto pronto. Ti ritrovi a dover ricoprire il ruolo di mentore più che quello di chef, e sei lì non solo per insegnare qualcosa alle persone ma, soprattutto, per guidarle. Penso che sia questa una delle differenze principali, e Maxime sta facendo davvero un ottimo lavoro.
In un’intervista fatta dal New York Times, hai dichiarato che, come chef, uno degli degli aspetti più importanti per te è la qualità degli ingredienti. Come hai vissuto la sfida di cucinare con ingredienti destinati ad essere scartati?
Gli chef sono abituati a ottenere gli ingredienti in base al piatto che vogliono realizzare, quando in realtà dovrebbe essere l’opposto. Questo presuppone molta creatività e un palato con una buona memoria. Così quando ti ritrovi a dover mettere insieme carne, cioccolato, cipolla e cavolfiore, sai che in realtà esiste un modo per legarli bene insieme. E l’altra cosa di cui ci si deve sempre ricordare è che non stiamo cucinando per persone abituate a sapori complessi, ma persone che sono felici semplicemente di avere un pasto. Bisogna riuscire a trovare un equilibrio.
Hai avuto occasione di avere contatti con gli ospiti?
C’era principalmente un problema di lingua, visto che la maggior parte parla solo francese. Qualcuno provava a fare qualche traduzione qui e là, ma se posso essere sincero non è stato così male, in questo modo ho avuto l’opportunità di apprezzare ancora di più i loro sorrisi, ricevere una pacca sulla spalla o percepire l’entusiasmo nella loro voce. È stato meglio di mille parole.
Potresti raccontarci un episodio che ti ha colpito relativo ad un momento vissuto con gli altri volontari?
Quello che mi ha sorpreso di più è stata la quantità di storie diverse che sono riuscito ad ascoltare. Ad esempio, una sera mi è capitato di lavorare con un produttore di pasta italiano che, mentre stava andando in Germania, ha fatto una sosta a Parigi per poter fare il volontario: se ci pensi è assurdo, la vita ci ha guidati lì, abbiamo cucinato insieme e molto probabilmente non ci rivedremo mai più…ma è anche meraviglioso! E’ stata questa la cosa che ho apprezzato di più, poter ascoltare storie diverse ogni sera.
Che cosa porterai con te di questa esperienza?
Alcune volte mi è capitato di perdere speranza nell’umanità e nel futuro del nostro pianeta, con la consapevolezza che l’unica cosa che ci rimane, ormai, è il potenziale umano.
Un progetto come questo, dove il potenziale umano è alla base di tutto, mi ridà speranza e mi spinge a tornare al mio lavoro cercando di migliorarmi sempre. Rendersi conto di cosa la gente è disposta a fare, nel concreto, per rendere il nostro un mondo migliore: ecco cosa porterò con me.
In che modo pensi che il Refettorio possa diventare un modello in grado di migliorare il modo in cui le persone si approcciano al sistema alimentare?
Quello che dobbiamo riuscire a trasmettere è il valore intrinseco del cibo. Il modello del Refettorio riesce a dare voce ai prodotti stessi, mettendo in evidenza che niente, ma proprio niente, dovrebbe essere scartato. Personalmente è questa la cosa più importante che ho visto durante il mio servizio al Refettorio. Una mattina sono andato con Maxime a raccogliere le eccedenze alimentari e la gente era entusiasta di potercele dare, sono tutti stanchi di buttare via il cibo. E la cosa ha senso, perché a nessuno piace sprecare, ma purtroppo siamo intrappolati in un sistema che continua a farlo, e abbiamo bisogno di più progetti come il Refettorio che ci ricordano che una soluzione a questo problema effettivamente esiste.
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