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Karin, volontaria presso i Social Tables Antoniano da ottobre 2017, ci ha raccontato cosa rende tanto speciale il progetto di Bologna. Oltre alla complicità dello staff e all’atmosfera di festa data dal sorriso dei bambini, è la presenza delle famiglie a rendere questo spazio un luogo in grado di risanare, al tempo stesso, corpo e anima. Reduce da altre esperienze di volontariato, Karin svolge oggi il ruolo di coordinatrice dei volontari, aiutando nell’organizzazione di sala e cucina.
“Mi sono resa conto che la cosa al mondo che mi da più soddisfazione di tutte è aiutare gli altri” – è così che ha risposto quando le abbiamo chiesto cosa la spinge a presentarsi ogni lunedì sera da oltre due anni.
Cosa differenzia il progetto di Bologna dagli altri?
Il progetto di Bologna è un piccolo tesoro per le famiglie, perché possono venire lì – in un ambiente protetto – e conoscere altre persone, altre famiglie, i bambini possono stare insieme ad altri bambini. C’è un tema di forte inclusione sociale e di accoglienza, perché sono tanti piccoli mondi che si uniscono. Parliamo di persone che non potrebbero permettersi di andare a mangiare al ristorante e il nostro compito è far loro una coccola, sia in termini di cose buone da mangiare sia in termini di affetto.
È cambiato, anche tra i volontari, il modo di approcciarsi al cibo?
Ovviamente c’è sempre più attenzione allo spreco, in particolare dopo il corso di formazione sullo spreco alimentare organizzato dall’Antoniano più o meno un anno fa. E’ stato molto utile, e una volta terminato io e gli altri volontari abbiamo deciso di darci delle piccole regole per agevolare lo svolgimento del servizio. Le “regole dei volontari dell’Antoniano”, quindi, sono:
Non è semplice come macchina da far funzionare, anche perché siamo in tanti, alcuni non sempre vengono alle riunioni, molte volte non siamo gli stessi, ecc. Complessivamente, però, possiamo dire che le regole vengono seguite e che la riduzione di spreco è veramente notevole, tra prima e dopo c’è una differenza visibile.
I volontari riescono a instaurare un legame con gli ospiti?
Assolutamente sì. Quello con gli ospiti è un rapporto speciale. Ci sono persone, soprattutto quelle più aperte, che parlano anche di esperienze personali, e a quel punto il ruolo del volontario deve essere ben definito. Penso che l’aspetto più difficile del fare il volontario sia da una parte essere disponibili, e allo stesso cercare di rimanere professionali. Bisogna ascoltarli, comprenderli, supportarli ma bisogna sempre cercare di mantenere un ruolo abbastanza distaccato per non farsi coinvolgere troppo emotivamente. Molte volte è difficile, soprattutto per come sono fatta io, subentra la commozione e vorrei fare di più.
C’è un episodio significativo che ti ha segnata e che vorresti condividere?
Qualche lunedì fa è successa una cosa che mi ha commosso tantissimo. Ero con gli altri volontari e stavamo parlando di una nuova famiglia di siriani – mamma, papà e due figli maschi – che sarebbe arrivata da lì a qualche minuto. Quando sono arrivati ero molto curiosa e sono andata in sala ad accoglierli. La mamma aveva con sé due grandi contenitori con riso e kebab e un dolce fatto da lei. Il riso e il kebab li aveva portati per farli assaggiare agli altri ospiti, mentre il dolce era per noi volontari e gli altri operatori. E’ stato un gesto così tenero e pieno di amore, nel vero senso della parola, che mi ha commossa.
Ho un altro episodio molto bello da condividere. La primissima volta che sono andata all’Antoniano mi hanno presentato Johnny, il cuoco dei Social Tables. È una persona che non dimentichi facilmente, è meravigliosa, ormai tra noi c’è un vero e proprio rapporto di amicizia. La prima volta che ci siamo presentati sono andata da lui e gli ho stretto la mano, poi sono andata avanti a incontrare anche gli altri volontari. Dopo nemmeno cinque minuti mi sono sentita una mano sulla spalla, mi sono girata e Johnny mi stava porgendo un pezzo della sua crescenta – la sua famosa schiacciatina di pane – per farmela assaggiare. Ci sono rimasta di stucco, perché non lo conoscevo, ci avevo parlato per la prima volta 2 minuti prima, lui non sapeva né chi fossi io né perché fossi lì. Mi ha accolta indipendentemente da tutto, e con il suo gesto voleva semplicemente regalare quello che sa fare meglio. È stato quando ho visto quel sorriso che ho pensato “ok, sono nel posto giusto.”
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